
Era nato nel 1940 a Sheffield e aveva trascorso gli anni della Grande Guerra con la madre, in giro da parenti, mentre il padre serviva in Marina. A quattro anni si era trasferito a Stratford-on-Avon, in casa di una zia che gli aveva insegnato a recitare ai turisti i versi incisi sulla tomba di Shakespeare, prima ancora che imparasse a leggerli:
"Benedetto sia colui che rispetta queste pietre, e maledetto quello che muove le mie ossa".
Ancora adolescente iniziò a lavorare per la casa d'aste Sotheby's, dove in breve si affermò per le sue innate qualità, tant'è che gli fu assegnata la direzione della sezione delle antichità e dell'arte impressionista. Un grande passo professionale, considerata l'età. Ecco come lui stesso racconta i fatti:
"Sfoggiai le mie scarse nozioni sugli impressionisti francesi, e prosperai (...) Provavo un gusto particolare nel dire alle persone che i loro quadri erano falsi".
Non passò molto tempo prima che Bruce capisse che questa non era la vita che faceva per lui. Forse ad aiutare gli eventi saranno state anche le sue scappatelle durante le vacanze estive che lo portavano in giro per mezzo mondo, soprattutto in oriente, e che in breve gli fecero capire quanto la sua vita stava al viaggio, e quanto poco al mondo del commercio (dell'arte).
"Nelle vacanze estive viaggiavo verso est, fino all'Afghanistan, e chissà, mi domandavo, se avrei saputo scrivere un articolo sull'architettura islamica. Ma qualcosa non andava. Cominciavo a pensare che le cose, belle finché si vuole, possono anche essere maligne. L'atmosfera del mondo dell'arte mi ricordava l'obitorio".
Un giorno a New York si svegliò che era mezzo cieco.
"L'oculista disse che guasti organici non ce n'erano. Forse mi ero sforzato troppo a guardar quadri? E se avessi provato orizzonti più vasti?"
Andò in Africa. Al ritorno lasciò il suo impiego e si iscrisse al primo anno di archeologia all'università di Edimburgo (il che dimostra che non erano gli occhi a farlo desistere dal continuare il suo lavoro). Lasciò presto anche l'università per dedicarsi alla stesura di un libro in cui si sarebbe cimentato con l'istinto migratorio dell'uomo e le reazioni di chi questo istinto ha rimosso, o in qualche modo ha lasciato atrofizzare. Bruce individuava nella repressione dello stile nomade, imposta dalle regole della vita stanziale, una delle ragioni dell'infelicità dell'uomo moderno, che poi spesso sfocia in depressione e in alcuni casi in violenza incontrollata.
Ma anche questo progetto non decollò e quando a trentatré anni già si dava del fallito, all'improvviso gli arrivò addosso una telefonata che gli avrebbe cambiato la vita: il direttore Francio Wyndham, che avrà forse conosciuto quand'era stimato venditore di arte, gli offriva un posto di collaboratore al Sunday Times Magazine.
"Presto lasciammo perdere l'arte, e sotto la guida di Francio mi imbarcai in ogni sorta di articoli. Scrissi sui lavoratori algerini immigrati, sulla sarta Madeleine Vionnet e sulla Grande Muraglia cinese. Intervistai André Malraux."
La svolta della sua vita era all'angolo. Un pomeriggio mentre faceva visita ad Eileen Gray a Parigi si soffermò sotto la carta della Patagonia appesa in salotto che lei stessa aveva disegnato e commentò:
"Ho sempre desiderato andarci!".
"Anch'io", rispose la donna che aggiunse:
"Ci vada per me!".
Telegrafò al Sunday Times una semplice frase:
"Andato in Patagonia".
La frase entrò nella storia e ci insegna ancora oggi che non bisogna mai mollare i sogni, quando si capisce che sono quelli veri. Il libro che uscì da quel viaggio verrà giudicato nel 1978 il miglior libro dell'anno dal New York Times Book Review e Bruce Chatwin diventerà da quel momento l'uomo che ha regalato al mondo un nuovo stile del viaggiare scrivendo.