DISINTEGRA IL DIARIO DI VIAGGIO
Il punto di partenza è la disintegrazione del classico diario di viaggio.
DESCRIVI QUELLO CHE GLI OCCHI VEDONO
Il viaggiatore solitario è certamente tentato dalla voglia di descrivere l'infinità di emozioni che il mondo interiore genera in lui durante le lunghe ore della sua giornata: ricordi, riflessioni, indagini esistenziali, riflussi mistici. Chatwin detestava l'idea di passare per uno di questi viaggiatori sensibili e introspettivi e suggerisce a chi scrive di non attardarsi troppo nelle stanze dei propri pensieri e di aprire invece gli occhi sul mondo esterno e le sue storie quotidiane. Se il viaggiatore riuscirà a controllare questi impulsi, sulla pagina del suo diario troveremo una serie di immagini dai contorni netti e ben delineati, al posto delle ridondanti riflessioni. In questo modo il lettore viaggerà nello spazio e nel tempo, pur rimanendo comodamente seduto sulla poltrona del salotto di casa che predilige.
Nella disciplina della mia ricerca, questa è la prima regola che ho considerato.
IL REALE È SEMPRE PIÙ FANTASIOSO DEL FANTASTICO
Normalmente nei diari dei viaggiatori troviamo la descrizione di una serie di noiosissime azioni quotidiane: cosa fanno, come si spostano da un luogo all'altro, cosa mangiano, oltre che, come abbiamo visto, cosa pensano durante le ore che il viaggio regala loro. Chatwin ci dice di ignorare queste cose e ancora una volta ci invita ad allontanarci dal nostro intimo e di lasciare campo libero agli occhi. Per Chatwin infatti il reale, se si guarda con gli occhi giusti, è sempre più fantasioso del fantastico. Ecco perché afferma di non amare particolarmente Jules Verne.
Naturalmente questa è la seconda indicazione che ho segnato dentro a quel sub-conscio fatto di emozioni, fotografie mentali, osservazioni, che poi alla lunga andranno a toccare la regione cerebrale dove nasce e si sviluppa il desiderio di scrivere.
STORIE DI VITA ORDINARIA
Corollario dell'esaltazione del reale è l'idea che si possano scrivere storie interessanti anche partendo dalla realtà quotidiana. In fondo, i personaggi di Chatwin sono persone del tutto normali, al più contadini della pampa, gauchos, commercianti di villaggi sperduti sulle Ande, che lui incontrò casualmente viaggiando. E a questo riguardo mi piace ricordare John Pilkington, l'inglese che viaggiò polemicamente in Patagonia sulle sue tracce, quando ci dice che Chatwin, se avesse scavato dentro a quei personaggi, forse non li avrebbe trovati così interessanti.
Come dire: la Patagonia di Chatwin è in realtà un'invenzione dello scrittore?
CHATWIN AMA IL PARADOSSO
Ma Chatwin va oltre. Lui ama il paradosso, anche se spesso risulta difficile mettere un confine tra la realtà e la finzione nelle sue storie. Lui comunque le va a cercare queste vicende di vita paradossali, perché sa già che interesseranno il lettore. Tutte le altre immagini(o quasi) lui le lascia alla penna del viaggiatore distratto. Poi, una volta di ritorno a casa, prende in mano la storia scarabocchiata sul suo Moleskine e la elabora. La tratteggia con le pennellate di un impressionista e finisce la tela con le linee decise che anelano alla passione del surrealista. Ma non c'è in lui, credo, nessuna volontà di mettere in ridicolo le persone che animano i suoi capitoli. É piuttosto l'incorreggibile spirito creativo del narratore quello che qui entra in gioco e che non si può certo pretendere di soffocare, a meno che non si voglia eludere il diritto del lettore di poter sognare, ogni volta che allunga una mano dalla poltrona del salotto di casa per prendere un libro e concedersi il lusso di viaggiare in mondi a lui inaccessibili.
DISONESTÁ
Qualcuno è andato al di là di questo tipo di puntualizzazioni per arrivare a dare a Chatwin del disonesto. Durante un incontro alla Royal Geographic Society, Paul Theroux contesta a Chatwin: «Leggendo ho cercato invano i collegamenti tra un capitolo e l'altro, e fra due dialoghi, o tra due trasgressioni geografiche. Perché Bruce non li hai messi?»
«E perché avrei dovuto?» risponde Bruce.
«Perché penso che scrivere un libro di viaggio ci voglia una certa onestà.»
«A me l'onestà non interessa» risponde Chatwin.
MALEDUCAZIONE
In Patagonia Chatwin è visto come un approfittatore che si è intrufolato sinistramente nelle case della gente e ha poi ripagato l'ospitalità con descrizioni a loro dire irriverenti. Qualcuno ha parlato apertamente di maleducazione.
Ci andrei piano con questo genere di considerazioni. In una terra difficile come la Patagonia, nella mente del viaggiatore si muove un groviglio di domande. Lui in quel momento è organizzatore e fruitore al tempo stesso del suo viaggio. Se poi scrive, allora le cose si complicano di molto.
«Come farò ad arrivare a piedi fino a quel tal luogo prima che faccia buio? Dove troverò un posto per dormire? Compra del cibo prima di iniziare a camminare».
E nello stesso tempo: «Cosa devo chiedere, descrivere, ricordare, prima di uscire da questa casa?».
Bisogna lasciare le sale delle biblioteche, i discorsi da salotto, le poltrone di casa, per capire alcune delle logiche nascoste nei comportamenti a volte apparentemente irriverenti (altre forse no) dell'inglese.
Risolti questi problemi, a volte mi sono trovato anch'io a pensare che forse ero uscito troppo frettolosamente dalla casa che mi aveva dato del cibo, dell'acqua e un posto caldo per dormire la notte. Ma vi posso assicurare che non c'era in me nessuna intenzione di venir meno ai doveri di rispetto nei confronti di chi mi stava ospitando. Dentro di me sentivo una profonda gratitudine per ognuno di loro, e infatti serbo ancora oggi un sentimento di affetto, ma il lato razionale del viaggiatore si era già messo in moto per affrontare le problematiche della prosecuzione del viaggio. Ed è forse questa la vera ragione della distrazione che a volte ha toccato i movimenti di Chatwin nelle case di chi gli ha dato ospitalità.
STILE
Chatwin è un amante dello stile pulito e tagliente, di linee nette, senza fronzoli, dalle pennellate decise, alla Hemingwey, per intenderci. Forse può non apparire così se si leggono alcuni passi del manoscritto originale di Chatwin. Il trimming imposto dalla editor certo appare in alcuni casi rilevante e può far pensare che lo stile di Chatwin fosse in realtà molto più prolisso di quello che appare nella versione finale.
L'IMPORTANZA DEI PARTICOLARI
Questo non vuol dire che Chatwin fosse distratto davanti ai particolari che doveva descrivere. Al contrario. Guardando il soprammobile nella "casa di contadini gallesi" di Gaiman in Chubut, osservando i particolari del salotto di "un'estancia inglese" di Viamonte in Terra del Fuoco, la casa di Mauricio Braun a Punta Arenas, il vascello affondato..., ho capito che se volevo seguire i suoi passi sul piano letterario dovevo sforzarmi di registrare ogni piccolo dettalio degli ambienti, dei visi e dei comportamenti delle persone che stavo incontrando, anche a costo di apparire intrusivo e a volte addirittura maleducato.
MOVIMENTO
Si muoveva in autostop, sui non frequenti bus di linea, facendosi dare passaggi di fortuna dai camionisti, camminando. Nella dinamica di questi suoi spostamenti sta forse una delle ragioni dell'allure che ancora oggi attrae migliaia di viaggiatori di ogni parte del mondo a viaggiare in Patagonia con il suo libro nello zaino. L'aver ignorato l'importanza del movimento è forse l'errore più evidente di chi si è scagliato contro la sua opera.
CON CHATWIN
Una storia quando è straordinaria esige sempre il supermento di alcune prove. Il mio viaggio sulle tracce di Chatwin è durato quattro anni. Quattro viaggi della durata di tre mesi ciascuno per un totale di permanenza in Patagonia di un anno.
L'evoluzione della ricerca mi ha portato da un inizio difficoltoso e confuso all'incontro con lo scrittore e regista argentino Osvaldo Bayer; dall'individuazione ad uno ad uno dei personaggi del libro, all'emersione delle immagini immortalate nelle sue fotografie, all'esclusiva camminata sulla pista di cavalli di Lago Posadas. Dentro di me è cresciuta sempre di più la consapevolezza che il quadro si stava completando.
Due episodi hanno però fatto vacillare il tutto.
Alla vigilia del secondo viaggio, la compagnia aerea con la quale avevo acquistato il biglietto con tratta Buenos Aires era fallita lasciandomi a piedi. Stavo per decidere di mollare tutto. L'anno seguente, nella città di Perito Moreno, il furto della macchina fotografica con un mese di fotografie al suo interno e le carte di credito mi lasciò disilluso con venti euro in tasca sulle soglie di un deserto. Stavo per decidere un'altra volta di mollare tutto.
Eppure, curva dopo curva, passo dopo passo, sentivo che stavo sollevando il coperchio sulla vicenda di Chatwin in Patagonia, mettendo in luce al contempo gli errori di descrizione, le invenzioni dell'autore e i malumori dei suoi personaggi. Più andavo avanti e più sentivo che Chatwin in qualche modo si stava avvicinando a me, anche se un attimo dopo il tutto riappariva così assurdo, un'invenzione della mente, finzione, autoesaltazione.
Avevo dubbi profondi dentro di me, che mi dicevano di andarmene da lì, di riprendere a viaggiare in piena libertà, come avevo fatto in tutto il resto della mia vita precedente. C'erano però molti altri indizi che mi suggerivano di continuare a cercare, di continuare a camminare sulle sue tracce. La ricerca mi portava ogni giorno più vicino alla meta ma poi incontravo qualcuno o qualcosa, un contrattempo più o meno grave, una difficoltà, che mi facevano pensare che forse tutta la storia che stavo elaborando era solo un'invenzione della mia mente.
Mosso da una forza inconscia e insondabile, ho deciso ogni volta di proseguire, perché l'unico modo di placare l'ansia (o l'irrequietezza direbbe lui!) che avevo dentro, era di arrivare alla meta, arrivare alla fine del viaggio, completare l'opera, camminare sulle sue tracce.